Sartori, i demografi, la sovrappopolazione



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Sul Corriere della Sera di ferragosto campeggia un editoriale di Giovanni Sartori, di una schiettezza talvolta brutale. Vi si legge: "Ma questa speranza [che la tecnologia possa salvare l'umanità dalla catastrofe ecologica] è sottoposta a una condizione tassativa: fermare,e anzi fare retromarcia, sulla crescita della popolazione. Senonché la Chiesa cattolica (non le altre religioni) non vuole, il piissimo presidente Bush non vuole, e i demografi (assieme a molti economisti) vogliono sempre più bambini per alimentare le pensioni. Si può essere più irresponsabili e dissennati di così? (...) Ci siamo fregiati del titolo di Homo sapiens sapiens. Ma un'umanità che non sa salvare se stessa da se stessa merita semmai il titolo di Homo sapiens stupidus".

 

Il riflesso immediato, in particolare per chi come me appartenga alla spregevole sottospecie Homo sapiens stupidus demographicus) è quella dell'autodifesa, del genere: "Stupidus sarai tu", e poi via con le argomentazioni del caso.

 

La reazione più saggia non è tuttavia quella di offendersi. Assai meglio valutare nel merito: pur non compiacendomi della sua ruvidezza, ritengo che Sartori sull'indesiderabilità dell'incremento demografico non abbia affatto tutti i torti. Due i punti di dissenso con lui, a parte il tono: la possibilità di distinguere tra piano interno e mondiale, ed una minor certezza catastrofi imminenti.

 

Dal momento che per il resto sono in linea di massima d'accordo con il nostro critico e con i pochi altri opinionisti italiani sulle stesse posizioni[1], non è a lui che mi rivolgo, bensì ai colleghi.

 

Procediamo ora per gradi: il primo punto, preliminare, è se sia vero che noi si faccia passare sotto silenzio la minaccia della sovrappopolazione; il secondo, qualora la risposta al primo fosse positiva, è perché questo accada; il terzo, se non sia nostro compito occuparci con più attenzione del tema.

 

Per quanto almeno riguarda i demografi italiani, cui limito il discorso, rari i toni preoccupati; assai più numerosi in effetti gli ammonimenti sui pericoli di denatalità e invecchiamento.

Sartori in realtà afferma qualcosa di più, ma si tratta di un fraintendimento che deriva dalla sovrapposizione tra piano locale e planetario: i demografi vogliono sempre più bambini, ma solo nei paesi a debole natalità; immagino e spero siano molti a rallegrarsi della discesa della fecondità nei paesi ove è più elevata. L'atteggiamento più diffuso tra i demografi – peraltro in ottima compagnia – pare tuttavia quello di una sorta benign neglect sulla questione.

 

1 Perché se ne parla poco

Per quale motivo la sovrappopolazione mondiale è un tema così trascurato dagli specialisti?

Per cominciare, la troppa competenza comporta una duplice insidia. Anzitutto, l'abilità tecnica può far perdere interesse verso temi così vasti. Ancora più spesso,  conoscere a fondo un problema porta a sovrappesare i particolari (quali le controindicazioni secondarie) a scapito dei contorni generali[2].

Inoltre, padroneggiare i meccanismi della crescita delle popolazioni – penso in particolare all'inerzia demografica – può far pensare che oramai ci sia poco da fare. Anzi, in quasi tutto il resto del mondo la fecondità sta scendendo: è alle porte un  fisiologico aggiustamento. Il decorso è tecnicamente perfetto (sperando che il paziente non muoia).

Siamo poi più portati a concentrarci sulla situazione italiana: i mutamenti più drammatici sono invecchiamento e basso livello della natalità[3], non aumento della popolazione. Per i cultori di una disciplina esiste una sorta di incentivo intrinseco, a metter l'accento sui pericoli (specuialmente quelli controllabili): più gratificante quindi lanciare l'allarme denatalità che rasserenare gli animi dicendo "Su questo fronte tutto bene, ci stiamo comportando al meglio".

 

Dulcis in fundo, molti demografi possono semplicemente pensare che quella della sovrappopolazione sia una minaccia inesistente: sicuramente una buona ragione per parlarne poco.

 

2 Qualche argomento trascurato

Dal momento che quello della sovrappopolazione è uno dei dibattiti più antichi e tuttora controversi in demografia, non ha senso richiamarne qui le argomentazioni principali. Vi sono però aspetti meno considerati che val la pena richiamare:

1.      rapidità del cambiamento: a volte è questo, più che l'ammontare statico, a costituire un pericolo[4];

2.      principio di precauzione: spesso richiamato dagli ambientalisti, dovrebbe valere anche per un cambiamento così vorticoso e privo di precedenti paragonabili;

3.      separatezza ottica locale e planetaria: perché non si può affermare che la popolazione mondiale è eccessiva, e insieme auspicar maggior fecondità in certe aree? Questo per attenuare gli inconvenienti sulla struttura per età di un troppo brusco declino, se non anche per controbilanciare parzialmente il crescente squilibrio nella distribuzione della popolazione mondiale;

4.      ruolo delle migrazioni internazionali: è immediato considerarle un sano movimento di compensazione (succede anche a chi normalmente non ama vestire i panni del fautore del laissez-faire). Considero tale posizione plausibile in astratto ma piena di controindicazioni se le migrazioni avvengono su scala massiccia, specialmente nella presente situazione internazionale; anche qui, oltretutto, vale quanto detto a proposito dei pericoli dei mutamenti troppo rapidi;

5.      restrizionismo senza catastrofismo: per auspicare il contenimento della popolazione mondiale non occorre sposare la tesi del disastro imminente[5]; seguendo un approccio utilitaristico non si vede infatti perché non si possa perseguire una situazione demografica quand'anche questa si contrapponga non al tracollo bensì semplicemente ad una meno favorevole[6]. Non occorre venire al mondo tutti insieme: se per vivere meglio (e più a lungo) è opportuno prendere il nostro numerino e aspettare qualche generazione, perché non farlo[7]?

 

3 Perché parlarne

Risultati più interessanti li otteniamo se rovesciamo questa prospettiva: perché si dovrebbe tacere? Qualche possibile motivo l'abbiamo visto:

*        concentrarsi prevalentemente sulla situazione interna: ma il mondo è così interdipendente che dubito questa auto-limitazione sia opportuna;  le conseguenze di ciò che succede altrove agiranno anche qui.

*        pensare che oramai non ci sia molto da fare, e anzi il trend stia sensibilmente migliorando. Perché però non fare qualcosa per accelerare questa discesa[8]? Scostamenti anche modesti da un certo sentiero di diminuzione possono fare una grande differenza in cifre assolute.

*        non essere d'accordo sul nocciolo della questione (non certo sul fatto che l'incremento demografico non sia enorme, ma sulle sue possibili conseguenze negative).

 

Ne rimane un altro, temo il più importante: l'imbarazzo, o il desiderio di adeguarsi a quello altrui. Denunciare il pericolo della sovrappolazione pare un "blaming the victim" agli occhi di chi lega il sottosviluppo ad un supposto asservimento neocoloniale, o sente di infrangere regole non scritte nell'uscire da questo schema. Ancora più sgradevole, in quest'ottica, sarebbe auspicare una pur lieve ripresa della fecondità in Europa ed un freno nelle nazioni afro-asiatiche. Puntare il dito contro l'eccessivo accrescimento demografico può poi parere ad altri un'implicita sconfessione di convincimenti religiosi.

Naturalmente si può pensarla come si vuole: ma il peggior motivo per non affrontare la questione è quello di temere di dire cose inopportune[9].

 

Eccoci finalmente alla ragione per parlarne, di cristallina ovvietà: gli specialisti (gli intellettuali, si sarebbe detto una volta) hanno anche la funzione di occhi e orecchie della collettività. Chi pensa che la situazione sia allarmante, deve semplicemente prendersi le proprie responsabilità di fronte all'opinione pubblica. Si può ben essere una voce di minoranza: ma evitando di cacciare la polvere sotto il tappeto avremo fatto il nostro dovere.

 

 

 

Andrea Furcht



[1] Molto pochi in realtà: mi vengono in mente solo Alberto Ronchey e Luigi De Marchi, anch'essi esponenti di quella che una volta si chiamava "area laica"; e, nel caso almeno del secondo, ancor  meno amichevoli nei nostri confronti. Con tutti e tre devo confessare una certa consonanza di idee anche al di fuori dell'ambito della popolazione.

[2] Scriveva un altro toscano:"Parmi d'aver per lunghe esperienze osservato, tale esser la condizione umana intorno alle cose intellettuali, che quanto altri meno ne intende e ne sa, tanto più risolutamente voglia discorrerne; e che, all'incontro, la moltitudine delle cose conosciute ed intese renda più lento ed irresoluto al sentenziare circa qualche novità".

[3] Che questi siano temuti solo per gli effetti sulle pensioni, come pare intendere Sartori, non è del tutto vero: sarebbe d'altronde poco lungimirante voler subordinare profonde dinamiche strutturali, quali gli andamenti demografici, alla difesa di un sistema previdenziale inefficiente oltre che ingiusto.

[4] Così è ad esempio per i temuti effetti del riscaldamento globale (non entro ora nel merito della plausibilità di questo): gli inconvenienti non stanno in un pianeta più caldo di qualche grado, bensì negli sconvolgimenti implicati dal raggiungere la nuova situazione stazionaria (per usare un termine demografico). Lo stesso potrebbe dirsi persino dell'inquinamento in generale, che consiste in un mutamento ambientale troppo veloce rispetto al passo dell'evoluzione naturale.

[5] Ecco uno dei maggiori punti di dissenso con Sartori: non escludo, ma non vedo neppure l'evidenza di essere alla vigilia di una tragedia planetaria (e nel caso, molto più per ragioni geo-politiche che non strettamente ambientali); apprezzo anzi un altro bersaglio dei suoi strali, quell'"ambientalista scettico" dietro il quale si riconosce facilmente Bjørn Lomborg: per quanto una valutazione attenta di tutti i riferimenti del suo corposo volume L'ambientalista scettico sia compito improbo, si tratta di un libro scritto con grande attenzione ai dati, oltre che buon senso e pragmatismo.

[6] Nell'approccio utilitaristico, la distinzione tra benessere medio e totale è rilevante solo quando si discute dell'ammontare della popolazione.

[7] Sembra invece piuttosto curioso l'atteggiamento inverso, piuttosto diffuso anche tra molti rispettati esponenti del mondo politico e culturale: coniugare l'allarme per l'ambiente con il sottacimento dei pericoli della sovrappopolazione.

[8] In termini di minor fecondità, o di anticipo temporale.

[9] Un riflesso simile, insieme al ricordo del ruolo poco edificante della demografia italiana e tedesca nel sostenere il razzismo nazifascista, può spiegare il tacito rifiuto dell'approccio biologico in demografia (ove è centrale) e più in generale nelle scienze sociali; penso in particolare alle varie declinazioni moderne del darwinismo, dalla sociobiologia alla psicologia evoluzionistica.



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