2 Avvantaggiati e danneggiati
Sarebbe ovviamente del tutto unilaterale limitarsi alle opportunità senza considerare i rischi: fino ad oggi la flessibilità, che ho presentato come una sorta di panacea per l'alienazione da lavoro, si è rivelata piuttosto un eufemismo per un peggioramento della vita dei lavoratori detti outsider (ovvero non inseriti nel sistema di garanzie), specie per le donne (cfr. Livraghi pp.171-3). La circostanza getta certo un'ombra un po' sinistra sulle possibili evoluzioni del mercato del lavoro, ma può essere interpretata come una delle conseguenze della perdurante protezione dei lavoratori insider[1] (tra le altre: un vantaggio per le imprese di nuova costituzione[2], la delocalizzazione all'estero delle attività – cfr. nota 18 – e, per quanto riguarda anche il settore pubblico, la perdita di competitività dell'intero settore produttivo nazionale), e quindi destinata prima o poi a cadere.
Immaginiamo adesso che l'evoluzione del sistema sia neutrale dal punto di vista del benessere aggregato: anche in quest'ipotesi ci aspettiamo ci siano gruppi cui andranno particolari vantaggi, mentre altri avranno molto da perdere. è mia convinzione che per alcuni di questi si stia delineando una vulnerabilità sociale che potrà costituire per molti anni un'emergenza. Saranno variabili di tipo demografico ad aiutarci ad individuare molte delle aree di rischio[3], che non sono reciprocamente esclusive: un individuo può appartenere a diverse di esse.
2.1 Giovani e donne: un futuro più facile?
Queste preoccupazioni non riguardano a mio avviso due dei gruppi correntemente considerati marginali sul mercato del lavoro, i giovani e le donne.
Le donne dovrebbero venire avvantaggiate da telelavoro e part-time perché maggiormente conciliabili con gli impegni familiari[4]: non solo potrebbero meglio destreggiarsi tra i due fronti, ma soprattutto l'estensione su larga scala agli uomini della flessibilità del lavoro darebbe spazio per un'equa (o meglio, più libera) distribuzione nella coppia delle incombenze anche extralavorative[5] (tanto meglio se in una cornice di minor carico globale di lavoro), nel quadro della tendenza secolare di progressivo indebolimento della discriminazione tra i sessi.
I giovani dovrebbero poi essere il segmento di popolazione privilegiato per l'innovazione, se non altro per una maggiore familiarità con le nuove tecnologie; non si tratta tanto delle modalità operative, che possono apprendersi con relativa facilità, quanto soprattutto dell'adattamento culturale al nuovo modo di intendere da una parte il lavoro e dall'altra il tempo libero ed il consumo[6]: occorre infatti una certa attitudine anche per godere a pieno delle nuove opportunità fuori dall'ambito professionale, dalle decisioni di investimento allo svago.
Abbandonando i criteri demografici di identificazione, possiamo aggiungere un ultimo gruppo, finora penalizzato dalla tendenza alla specializzazione, ma rilanciato dalla rapidità di evoluzione delle competenze richieste e dalla futura centralità del sistema di riqualificazione permanente della forza lavoro[7]: gli intellettuali eclettici, specialmente di estrazione umanistica[8], ricercati sia per l'elasticità di adattamento (cfr. nota 28) sia per la disposizione alla didattica – premiati insomma per le attitudini speculari ad imparare e ad insegnare[9].
2.2 Obsolescenza sociale
Il ritmo dell'innovazione tecnologica accelera: molte mansioni, specialmente quelle da colletti bianchi, stanno per tramontare od essere esposte alla concorrenza internazionale[10]. Stare al passo non è solo questione di qualificazione professionale[11], ma anche di capacità di padroneggiare l'esistenza quotidiana; si sta profilando insomma la comparsa di masse di "nuovi analfabeti"[12], nel nostro come negli altri paesi. Il pericolo è dunque che una parte crescente dei cittadini diventi economicamente e socialmente marginale.
Chi rischia di più sul mercato del lavoro sono i lavoratori iperspecializzati e poco flessibili, se incapaci di aggiornarsi[13]: un po' il ritratto del tipico lavoratore insider, fossilizzato anche dalle sicurezze fornite finora dal mercato del lavoro[14]. Non si tratta di una protezione esclusivamente legale, perché possiamo immaginarci anche motivi di convenienza aziendale nel tutelare questo tipo di dipendenti. Riporto a questo proposito un'interessante ipotesi suggerita in passato da Brunetta e Turatto (1993, p.66-7)[15]: "In un mercato in cui l'addestramento on the job costituisce uno dei fattori-chiave dell'equilibrio e dello sviluppo aziendale, i criteri che regolano lo scambio tra lavoro e capitale non possono che strutturarsi in modo tale da massimizzare la disponibilità dei lavoratori occupati a trasmettere ai nuovi assunti quelle conoscenze che permettono di ottimizzare il processo di produzione. In questa prospettiva, ecco che la rigidità dei salari e la sicurezza del posto di lavoro costituiscono un fattore di equilibrio aziendale. Se ciò non fosse vero, non si capirebbe perché coloro che già lavorano siano disponibili ad addestrare nuova manodopera con il rischio di creare pressioni al ribasso sui proprio livelli salariali e di aumentare il rischio di perdere il posto di lavoro. Possiamo di conseguenza immaginare che tra domanda e offerta di lavoro sia vigente una sorta di contratto implicito. (...) [Di conseguenza] nel mercato del lavoro uno dei fattori determinanti è rappresentato dall'anzianità. è infatti in base a un meccanismo di determinazione generazionale delle assunzioni, dei licenziamenti, dei salari che si può assicurare a chi già lavora – e quindi partecipa alla formazione dei giovani – di non essere sostituito dalle nuove leve"[16].
Mi chiedo però se questo meccanismo continui ad essere significativo anche in presenza di forti faglie di innovazione. è chiaro che a questo punto ciò che i "veterani" hanno da insegnare ai giovani diventa in molti casi poco rilevante[17], e se non fossero le singole aziende a orientarsi verso un rapido ricambio[18] (o se non fosse loro permesso) sarebbe la concorrenza, interaziendale o anche internazionale, a determinare l'avvicendamento.
I più colpiti da questo fenomeno sarebbero i lavoratori già avanzati per età nella carriera: si pensa che siano quelli che incorporano capitale umano meno aggiornato (e meno aggiornabile). La posizione di chi tra di essi non è molto vicino all'età pensionabile sarebbe particolarmente scomoda: avrebbe sprecato gli anni della gioventù a fare anticamera nei confronti di lavoratori privilegiati per anzianità, trovandosi poi vicino al vertice proprio nel momento del cambio del sistema. è pur vero che, avendo alle spalle una più lunga attività lavorativa, rischiano meno in termini di anni attivi residui da passare eventualmente in stato di disoccupazione o sotto-occupazione; ma non è detto che una copertura pensionistica prevedibilmente assai spartana li metterà in grado di apprezzare con filosofico distacco l'avere comunque goduto per anni di occupazione a tempo pieno. Il ragionamento non vale solo per età[19]: si immagina che saranno anche i meno colti[20] a trovarsi a malpartito.
2.2.1 Gli anziani
Gli anziani meritano però un approfondimento ulteriore. Il problema non è solo che, come abbiamo visto, andranno massicciamente ad ingrossare le fila dei "nuovi analfabeti"[21] e vedranno drasticamente deprezzato il proprio patrimonio di esperienza, specialmente – ma non solo – sul piano lavorativo. Il fatto è che saranno (saremo, per meglio dire) anche troppi, come si evince facilmente dalle proiezioni demografiche (che sono estremamente affidabili per via della cosiddetta "viscosità demografica"[22]). Il discorso sul rischio di crac pensionistico è troppo noto perché debba venire qui richiamato.
Un'altra circostanza assai poco rassicurante: gli anziani di domani saranno anche poco provvisti di reti familiari di sostegno perché avranno fatto pochi figli, i quali saranno magari anche impegnati a loro volta in qualità di genitori (cfr. nota 12). A completare il quadro, la possibilità che le difficoltà della transizione e le conseguenze a lungo termine di una massiccia e malgestita immigrazione facciano aumentare la microcriminalità, della quale proprio gli anziani sono tra le vittime preferenziali (cfr. sez.4.1).
Una possibilità, che giudico molto insidiosa, è che gli anziani formino in futuro un blocco in grado di ingessare l'evoluzione economico-sociale. Finora relativamente trascurati, avranno un maggiore peso politico in virtù di cultura, ambizioni, consapevolezza dei propri diritti, forse anche forza economica (derivante prevalentemente da posizioni acquisite o rendite finanziarie) e soprattutto incidenza elettorale, assai maggiori di quelle generazioni anziane di oggi e soprattutto di ieri (sulle quali però ci siamo formati l'idea di "anziano").
Volendo invece essere ottimisti a oltranza, il progresso tecnologico potrebbe in parte compensare i guai provocati: anzitutto, spostando più in là il limite fisiologico della vecchiaia; in secondo luogo, dando più tempo libero dal lavoro ai familiari, che potrebbero così più facilmente assistere i genitori anziani; inoltre, dando l'opportunità di supplire con maggiore produttività al diminuire della proporzione di lavoratori attivi rispetto ai pensionati; agevolando infine la vita a chi è debole fisicamente, elevando così le possibilità di autosufficienza[23]; infine, contribuendo anche alla sicurezza individuale (cfr. sez.4.1, ultimo capoverso).
2.2.2 Il terziario tradizionale
Ci siamo concentrati sugli equilibri tra generazioni interni alle aziende; un altro approccio interessante è quello aggregato: interi settori potrebbero trovarsi spiazzati dal cambiamento. è quello che sta succedendo da molti anni nel comparto dei servizi, soprattutto nel commercio[24]: se al primo movimento tellurico che fu rappresentato anni fa dall'avvento della grande distribuzione aggiungiamo gli sconquassi (probabilmente benefici, dal punto di vista del consumatore) che il commercio elettronico minaccia di provocare[25], possiamo ricavare un quadro decisamente allarmante per milioni di lavoratori, molti di questi autonomi. Costoro soffrono di uno svantaggio rispetto ai lavoratori dipendenti: oltre a doversi adattare alle nuove condizioni e rischiare il posto di lavoro, occorre loro anche smobilitare (o rassegnarsi a perdere) un investimento comunque effettuato – non si tratta di solo capitale umano, dunque, ma anche di entità assai più tangibili.
D'altra parte la notevole protezione politica della quale il piccolo commercio – al pari di altri settori – ha goduto in passato sembra essere venuta meno. L'opinione comune è che, nonostante alcuni positivi effetti della presenza di una capillare rete di esercizi al dettaglio (maggiore vita nei quartieri urbani, servizio più accurato e facilmente accessibile per anziani e residenti nei piccoli centri), si tratti di un sistema poco efficiente, che fa crescere il prezzo dei prodotti e forse favorisce l'evasione fiscale, oltretutto senza garantire un reddito soddisfacente agli esercenti. Lo sviluppo della grande distribuzione, pur frenato negli anni passati, è stato funzionale ad un processo di razionalizzazione del commercio: i vantaggi per i consumatori sono evidenti, in termini non solo di prezzi ma anche di elasticità di orario e ampiezza di assortimento. Oggi stiamo entrando in una nuova fase; il piccolo dettagliante esisterà ancora in futuro, ma con funzioni (e verosimilmente, incidenza sul totale del fatturato della distribuzione) molto diverse da quelle che abbiamo conosciuto in passato.
[1] Sul tema insider/outsider cfr. Frey pp.20-1 e Vinci, p.47, che riprende l'analisi di Berthold e Fehn (The Positive Economics of Unemployment and Labour Market Inflexibility, "Kyklos", vol. XLIXº, 1996). La questione è icasticamente riassunta in sede di discussione da Catello Cosenza con l'espressione "chi sta dentro non molla l'osso" (pp.80-1).
[2] Cfr. però Frey p.21 sui vincoli legislativi comunque esistenti, originati dalle politiche di protezione a favore degli insider.
[3] Gesano afferma all'inizio (p.79) "Dobbiamo però [in quanto demografo] ammettere che la dinamica demografica condiziona sempre meno il funzionamento dei mercati del lavoro"; arriva tuttavia a concludere che "alla luce delle considerazioni fin qui svolte dovremmo concludere che il contributo offerto dall'analisi della dinamica demografica si dimostra debole e talvolta contraddittorio nella comprensione dei cambiamenti intervenuti ed attesi sul mercato del lavoro. Ciò non toglie che i rapporti tra le due dinamiche rimangono intensi, ma si sono fatti più sofisticati e dialettici" (p.101).
[4] Vedi Lindley pp.176-7 e l'intervista Telelavoro si coniuga al femminile (Valsecchi, 1999), oltre che alcune delle citazioni in nota 3. Negli "impegni familiari" non sono compresi solo possibili maggiori oneri nella gestione della casa e soprattutto dei figli, ma anche il doppio impegno frequentemente rappresentato dall'assistenza ai familiari anziani, invalidi o comunque non-autosufficienti – cfr. ad es. Saraceno p.102, Cantalini e Vivio p.171, Gesano p.98.
[5] Su questo specifico punto scrive Lettieri: "La possibilità di optare temporaneamente per un modulo di orario ridotto favorisce, inoltre, la redistribuzione del lavoro di cura all'interno della coppia, rompendo la tradizione di un lavoro salariato maschile inalterabile e rigido, in contrapposizione al lavoro femminile costretto a farsi carico di tutti i cambiamenti che intervengono nelle esigenze della vita familiare."
[6] Sulle caratteristiche degli utenti del commercio elettronico si veda Camussone p.103 e, per converso, cfr. la nota 29 qui.
[7] Su questo è d'accordo in sostanza l'unanimità degli osservatori (risparmio un'indicazione bibliografica che sarebbe plebiscitaria).
[8] Cfr. Filippazzi e Occhini pp.82 e 94.
[9] Penzias, intervistato da Chiaberge, è tra i molti ad affermare che "l'arma vincente sarà la capacità di imparare in fretta e di reinventarci continuamente".
[10] Ricorda Camussone (p.48): "La diffusione del telelavoro renderà più gradevole la vita nelle grandi aree urbane alleggerendo il pendolarismo, e aprirà possibilità di impiego ad aree che per la loro collocazione geografica sono state finora ai margini dello sviluppo economico. Ma questa opportunità sarà anche una minaccia, perché renderà confrontabili i costi di produzione del lavoro intellettuale a distanza tra varie aree del nostro pianeta". Sono d'altronde già da tempo diffusi i servizi in collegamento telematico per le aziende, la contabilità ad esempio – mentre prendono corpo progetti su settori assai diversi, quali la telemedicina (cfr. Camussone pp.48-9). Gesano ricorda la "ipercitata dislocazione in India della centrale che cura il servizio prenotazioni passeggeri di una compagnia aerea europea" (p.87); più ampiamente Gallino, pp.104-6 (cfr. anche Amendola p.136). Mi pare tuttavia che, benché sia naturale preoccuparci per i nostri lavoratori, non si possa aver predicato per decenni una più equa distribuzione della ricchezza nel pianeta e poi dolersi perché anche i lavori detti "di concetto" approdano nei PVS.
[11] La questione è approfondita in Filippazzi e Occhini, pp.86-8.
[12] Questo punto è al centro dell'attenzione dei commentatori; sull'istituzione della European Computer Driving Licence cfr. Filippazzi e Occhini pp.77-8. Vedi anche s.a. 1999a.
[13] Anche per la difficoltà di trovare spazio nei comparti emergenti: "i nuovi lavori non possono, in generale, utilizzare il personale estromesso dal ciclo lavorativo perché obsoleto" (Filippazzi e Occhini, p.76).
[14] Sul mutamento del rapporto di lavoro vedi Biffi, L'impatto dell'ICT sull'occupazione, p.71 punto 4.
[15] Sulle strategie di difesa messe in atto dagli insiders si veda anche Frey, pp.20-1.
[16] Un'interpretazione solo poco meno malevola del rapporto di lavoro è riportata in Amendola, p.144: "…il rapporto di lavoro dipendente, quasi dovunque nei paesi europei, si caratterizza nella maggior parte dei casi come un rapporto di lunga durata (OECD, 1995). Ciò, come è stato notato, se da un lato rende conveniente per entrambe le parti investire nel rapporto stesso, dall'altro rende ciascun contraente ostaggio dell'altro. L'impresa (…) assume il rischio di perdere l'investimento in capitale umano effettuato, nel caso in cui il lavoratore decidesse di lasciare volontariamente l'impresa. (…) Il lavoratore, pertanto, assume il rischio che il tipo di esperienza e qualificazioni maturate presso l'impresa può non accrescere, e in alcuni casi diminuire, il suo valore sul mercato". In ogni caso, finché il sistema regge, i giovani lavoratori non si sentono eccessivamente penalizzati dal meccanismo dell'anzianità, perché verrà il loro turno di esserne i beneficiari (un analogo ragionamento è applicabile alle pensioni).
[17] Stavolta dissento da Gesano, almeno nell'accentuazione. Nel paragrafo Gli anziani: da depositari di esperienza a detentori di potere economico (in riferimento proprio al potere di contrattazione all'interno delle aziende), scrive (p.95): "Si è già detto come le innovazioni tecnologiche ed i moderni modi di organizzazione del lavoro abbiano in gran parte deprezzato il valore dell'esperienza che si accumula in anni di attività. Tuttavia, sono soprattutto alcune abitudini nel modo di organizzare la propria attività e nei rapporti con gli strumenti del lavoro che non hanno più ragione di venire tramandate, mentre rimangono validi e trasmissibili alle nuove generazioni tutti quegli insegnamenti relativi ai rapporti con il lavoro ed a quelli interpersonali di lavoro, valori che si formano solo in una lunga esperienza di attività lavorativa e, più in generale, di vita." Ora, è mia convinzione che siamo veramente di fronte ad un salto epocale nell'organizzazione di vita (cfr. nota 29) e nel valore esistenziale attribuito al lavoro (si veda la conclusione). In casi come questo, perdono di valore anche quegli insegnamenti che Gesano (il quale, va detto a onor del vero, accenna poi all'azione della concorrenza nello scalzare le aziende arretrate) ritiene rimanere validi nel patrimonio di conoscenza dei più vecchi: la trasformazione, insomma, sarà ben più profonda di un semplice mutamento nei processi produttivi.
Detto questo, vi sono però delle circostanze che possono moderare lo svantaggio dei lavoratori più anziani, anche nel senso indicato da Gesano. Lo mette bene in rilievo Lindley, nel corso di una più ampia disamina della questione: "However, the pattern of sectoral and occupational change could be quite favourable to older workers. (…) the long-term multisectoral simulations suggest that the concentration of employment growth in services is likely to intensify. The emphasis on quality of service then plays to the better social skills and experience of older workers in a number of areas, notably, general retailing, financials services to households, business services and consulting, and caring activities. This effect will be reinforced by the presence of increasing numbers of older customers who will tend to respond better to being served by a member of their peer group". Si veda anche Camussone p.56.
[18] Oggi infatti le aziende tendono a disfarsi in modo indolore (per il dipendente, non per la collettività) di questi lavoratori per rimpiazzarli con giovani, meno costosi e più aggiornati (vedi Filippazzi e Occhini, pp.88-9).
[19] Si tratta più propriamente di una prevalentemente questione di coorte: l'età è una variabile più appariscente e tende a mascherare i fenomeni longitudinali in presenza di discontinuità di periodo. Traducendo dal linguaggio un po' oscuro dei demografi, la scarsa adattabilità degli anziani cui faccio riferimento deriva solo in parte dal fatto che si tenda per natura ad irrigidirsi col passare degli anni; più importante è la distinzione tra le generazioni che si saranno formate (alludo al periodo di vita che arriva alla tarda adolescenza) prima della discontinuità tecnologico-produttiva e quelle che si saranno formate dopo; questo nell'ipotesi tutt'altro che provata che si tratterà a) di un'ondata di innovazioni decisive e b) relativamente circoscritta nel tempo.
[20] Indico qui con "cultura" il metodo critico, l'adattabilità mentale e soprattutto la capacità di apprendere: l'ideale sarebbe pertanto una formazione scolastica né troppo tecnica né influenzata dal rifiuto verso le materie scientifiche, che in Italia vanta purtroppo ascendenti assai illustri.
[21] Proprio in fase di revisione, leggo sulle pagine milanesi del "Corriere": "L'anagrafe con le autocertificazioni allo sportello elettrico, il pagamento delle utenze agli sportelli agli sportelli automatici, l'uso del Bancomat anche per pagare due scatolette di tonno al super hanno reso la vita impossibile a quella generazione dei miei genitori, che ci aveva messo una vita per abituarsi alle code, ma che alla fine le viveva come un momento di aggregazione, dove si aspettava di andare in banca per fare quattro chiacchiere con il cassiere. Chi mi preoccupa di fronte a quest'euforia da computer, sono gli over 60, cioè tutti quelli che non hanno mai usato il Bancomat perché han paura che ti tira dentro anche la mano oltre che la tessera… quelli che chiedono al tabaccaio di compilargli la schedina con la scusa che han dimenticato gli occhiali perché morirebbero di vergogna se la macchinetta gliela sputasse indietro incompleta… quelli, come i miei genitori, che non hanno mai preso una carta di credito perché non vogliono avere debiti" (Bertolino, Quei milanesi al computer).
[22] Nelle proiezioni (ad esempio) a trent'anni, la gran maggioranza dei membri della futura popolazione è già nata. Normalmente le variazioni di mortalità sono relativamente contenute: il margine di errore si concentra allora nelle fluttuazioni della fecondità, che sono più imprevedibili, ma che comunque vanno applicate a fasce di età ben definite – allo stato attuale della tecnologia riproduttiva, perlomeno.
[23] Non sarebbe certo una caratteristica nuova del progresso tecnico: si veda quanto osserva Ariès a proposito del Sei-Settecento.
[24] Ma non esclusivamente lì: si pensi ad attività solo latamente imparentate col commercio, quali le agenzie di viaggi, e anche a diverse categorie artigianali (ad esempio la tipografia).
[25] Si veda su questo Il commercio diventa elettronico (a cura di Camussone e Biffi, 1999).